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Climate change e condizione femminile: solo colmando il gender gap salveremo il pianeta

Correlazione tra gender gap e ambiente, e tra condizione femminile e lotta al cambiamento climatico.

Gender gap e ambiente, condizione femminile e lotta al cambiamento climatico. Esiste una precisa correlazione tra questi due temi, entrambi oggetto dell’Agenda Onu per lo sviluppo sostenibile, e mai come in questo giorno simbolico è necessario parlarne.

Da una parte perché nel mondo sono le donne ad essere più colpite dagli effetti del cambiamento climatico, dall’altra perché sono potenzialmente le più indicate per contrastarlo.

Hanno iniziato i gruppi femministi degli anni ’80 a sottolineare come gli effetti negativi delle trasformazioni dell’ambiente naturale colpiscano più duramente le donne appartenenti a comunità che vivono in condizioni di povertà. In quei Paesi in via di sviluppo dove la società si articola secondo un modello rigidamente patriarcale, bambine e ragazze imparano presto “cosa faranno da grandi”; lavorare nell’agricoltura e raccogliere risorse, principalmente acqua, sono certamente tra le professioni più comuni – nelle ore non dedicate a compiti indispensabili come prendersi cura di bambini ed anziani.

Siccità e deforestazione costringono le donne nelle società rurali di Africa e Asia a compiti sempre più duri, portandole lontano da casa ed esponendole a rischi. Nel 2008 il governo indiano ha riconosciuto che dovrebbe essere prestata maggiore attenzione alla protezione delle donne, riconosciute come categoria a rischio a seguito dell’inaridirsi dei terreni, della scarsità d’acqua e del diffondersi di malattie respiratorie, cardiovascolari o persino neoplastiche che richiedono costosi medicinali.

L’idea che esista un qualche legame tra cambiamento climatico e condizione della donna fatica a diffondersi, ma è più facile da raccontare tenendo assieme consapevolezza ambientale e sostenibilità, sensibilità che viaggiano su binari paralleli.

Pensiamo alle erogazioni del microcredito teorizzato dal premio Nobel per la Pace Yunus, per cui una piccola somma viene destinata agli individui vulnerabili dal punto di vista socioeconomico, aiutandoli ad avviare una propria attività imprenditoriale: è significativo che ancora oggi più del 70% dei destinatari siano donne. Oppure alle istituzioni europee, che provano a smussare il gender pay gap – pari a 14.1% nel 2020 secondo Eurostat – e che sono pronte ad emanare una direttiva che imponga ai datori di lavoro, almeno quelli con più di 250 dipendenti, di dichiarare il divario retributivo tra uomini e donne.

Ma perché è così essenziale che la condizione della donna migliori per salvare in nostro pianeta dalle catastrofi ambientali? Le scelte lavorative sono influenzate dal livello di istruzione, una variabile che condiziona anche le preferenze dei consumatori. Numerose ricerche confermano che sono le donne a decidere della maggior parte delle spese familiari e, mediamente, preferiscono lo shopping ragionato e consapevole invece che un approccio fulminio ed efficiente.

Già sappiamo che le informazioni sugli impatti ambientali e sul trattamento dei lavoratori influenzano le scelte di consumo; pare sensato immaginare che fornendo alle donne un maggior potere d’acquisto ed una migliore educazione sul cambiamento climatico vengano premiate le imprese più sostenibili di oggi così come quelle di domani, se le madri trasmetteranno questa consapevolezza ai figli.

L’interesse femminile verso sostenibilità e ambiente è comprovato, per cui non dovrebbe sorprenderci leggere che nel 2018 è stata dimostrata la relazione tra la percentuale di donne nei parlamenti nazionali e l’adozione nei loro Paesi di stringenti politiche per contrastare le alterazioni del clima. Grazie all’analisi della condotta di 91 Paesi, i ricercatori australiani A. Mavisakalyan e Y. Tarverdi sostengono di aver identificato un probabile nesso causale tra le due variabili e che, grazie alla messa in atto di tali riforme, negli Stati più inclusivi sono state ridotte maggiormente le emissioni di anidride carbonica. Lo studio si conclude suggerendo che aprire le porte delle istituzioni a più donne potrebbe portare a migliori risultati nella lotta al cambiamento climatico.

Che ci sorprenda o meno, c’è una solida correlazione tra questi due temi. Se abbiamo capito che la crisi climatica è la sfida più complessa dei nostri tempi, dobbiamo ora realizzare che difendere la parità di genere è difendere il nostro futuro, e che le donne possono restare vittime oppure diventare agenti del cambiamento di cui abbiamo bisogno.

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